Con le attualissime sentenze, n. 18 del 28/12/2022 e n. 21 del 29/12/2022, l’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato ha definitivamente riconosciuto la validità dei titoli rumeni ed il loro
valore abilitante ai fini dell‟insegnamento. Nello specifico, pronunciandosi sugli appelli proposti
avverso i provvedimenti Ministeriali di rigetto del riconoscimento in Italia dei titoli rumeni, li ha
accolti enunciando i principi di diritto di seguito sinteticamente esposti.
La prima sentenza richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea ha affermato
il principio secondo cui le autorità competenti del Paese ospitante «sono tenute a prendere in
considerazione l‟insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli, nonché l‟esperienza pertinente
dell‟interessato, procedendo a un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e
da tale esperienza e, dall‟altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalle legislazione nazionale»
(Corte di giustizia UE, sentenza 8 luglio 2021, C166/20; § 34). Tale principio è «insito nelle libertà
fondamentali sancite dal Trattato FUE» e «non può perdere una parte della sua forza giuridica in
conseguenza dell‟adozione di direttive relative al reciproco riconoscimento dei diplomi», poiché le
disposizioni in esso contenute «mirano a facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi, dei
certificati ed altri titoli stabilendo regole e criteri comuni che comportino, nei limiti del possibile, il
riconoscimento automatico di detti diplomi, certificati ed altri titoli», e non già di porre le
condizioni per «rendere più difficile il riconoscimento di tali diplomi, certificati ed altri titoli nelle
situazioni da esse non contemplate» (sentenza 8 luglio 2021, C-166/20, ora richiamata; 35 e 36).
Agli stessi principi è inspirata la direttiva 2005/36/CE per cui, precisa l’Adunanza Plenaria,
“se ne desume che, come il sistema automatico, anche quello generale di riconoscimento delle
qualifiche professionali acquisite in ciascun Paese membro, attraverso la verifica amministrativa
dei titoli di formazione o delle attestazioni di competenza, è funzionale alla circolazione in ambito
sovranazionale dei lavoratori e dei servizi, e nello specifico all’accesso alle, professioni regolamentate‟,
soggette cioè in base alla legislazione nazionale al possesso di una necessaria
qualificazione, in condizioni di parità con i cittadini dello Stato ospitante”.
Richiamando tali principi in tema di mutuo riconoscimento dei titoli professionali, a fronte
della richiesta di riconoscimento di un titolo estero, “il Ministero dell’istruzione è in altri termini
tenuto:
— ad esaminare «l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli», posseduti da ciascuna
interessata; non dunque a «prescindere» dalle attestazioni rilasciate dalla competente autorità
dello Stato d‟origine, come invece hanno ipotizzato le ordinanze di rimessione;
— a procedere quindi ad «un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e
da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione
nazionale», onde accertare se le stesse interessate abbiano o meno i requisiti per accedere alla
,professione regolamentata‟ di insegnante, eventualmente previa imposizione delle misure
compensative di cui al sopra richiamato art. 14 della direttiva”.
Un‟attività istruttoria, sulla base della documentazione a sua volta emessa dallo Stato di
origine, secondo quanto previsto dall‟art. 13, ispirata ad una logica di semplificazione, funzionale a
favorire la circolazione delle qualificazioni professionali in ambito sovranazionale, che trae il
proprio fondamento nella „fiducia reciproca‟ delle attestazioni di competenza di ciascuna autorità
chiamata a cooperare per il funzionamento del sistema istituito con la direttiva. “In ragione di ciò, la
verifica dell’autorità del Paese ospitante ai fini del riconoscimento tende ad assumere i
connotati dell’automatismo, coerenti con le esigenze di certezza del quadro regolatorio uniforme a
livello nazionale e agli obiettivi di circolazione dei lavoratori e dei servizi perseguiti attraverso la
direttiva”.
Né la mancanza dei documenti necessari, ai sensi dell’art. 13 della direttiva 2005/36/CE può
essere automaticamente considerata ostativa al riconoscimento della qualifica professionale
acquisita in uno Stato membro dell‟Unione europea, dovendosi verificare in concreto il livello di
competenza professionale acquisito dall’interessato, valutandolo per accertare se corrisponda
o sia comparabile con la qualificazione richiesta nello Stato di destinazione per l’accesso alla
‘professione regolamentata’.
Principi sostanzialmente ribaditi con la sentenza n. 21 del 29/12/2022 attraverso la quale
viene confermata, in continuità con la giurisprudenza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato,
l’enunciazione del principio di diritto secondo il quale: «spetta al Ministero competente verificare
se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato da altro
Stato o la qualifica attestata da questo, nonché l‟esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il
candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni per accedere
all’insegnamento in Italia, salva l‟adozione di opportune e proporzionate misure compensative ai
sensi dell‟art. 14 della Direttiva 2005/36/CE».
Precisa, inoltre, che l’articolo 13, comma 1, del d. lgs. n. 206 del 2007, attuativo della
Direttiva 2005/36/CE, prevede che «se, in uno Stato Membro Ospitante, l‟accesso ad una
professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche
professionali, l‟autorità competente di tale Stato Membro dà accesso alla professione e ne consente
l‟esercizio alle stesse condizioni dei suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell‟attestato di
competenza o del titolo di formazione di cui all‟art. 11, prescritto da un altro Stato Membro per
accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio».
E nello specifico, “tale disposizione indica, dunque, il procedimento da seguire e dispone
che chi chiede il riconoscimento deve essere in possesso solo dell‟attestato di competenza o del
titolo di formazione di cui all‟art. 11, previsto da un altro Stato Membro per accedere alla stessa
professione ed esercitarla nel suo territorio. Il competente Ministero italiano deve, dunque,
valutare la corrispondenza del corso di studi effettuato, e dell’eventuale tirocinio, con quello
italiano, e all’esito dell’istruttoria può disporre: 1) o il riconoscimento alle condizioni di cui
all’art. 21 del d. lgs. 206 del 2007; 2) misure compensative (il tirocinio triennale o l’esame) di cui
al successivo art. 22 del d. lgs. n. 206 del 2007”.
Difatti, “non è necessaria l‟identità tra i titoli confrontati, essendo sufficiente una mera
equivalenza per far scaturire il dovere di riconoscere il titolo conseguito all‟estero: il certificato va
considerato non automaticamente, ma secondo il sistema generale di riconoscimento e confrontando
le qualifiche professionali attestate da altri Stati membri con quelle richieste dalla normativa italiana
e disponendo, se del caso, le misure compensative in applicazione dell‟art. 14 della Direttiva
2005/36/CE”.
Il Ministero dell’Istruzione deve, dunque, esaminare le istanze di riconoscimento del titolo
formativo conseguito in Romania, tenendo conto dell’intero compendio di competenze, conoscenze
e capacità acquisite, e verificando che «la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni
a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno.
Da ultimo, e con specifico riferimento agli insegnanti di sostegno, l’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato richiama (v., ad esempio, Cons. St., sez. IV, 6 novembre 2020, n. 6827) quanto
già osservato, ovvero “come un analogo provvedimento di rigetto dell’istanza adottato dal
Ministero sia illegittimo per difetto di motivazione in quanto si limita esclusivamente a richiamare,
in astratto, le differenze che esisterebbero tra Romania e Italia nel quomodo dell’erogazione del
servizio pubblico dell’insegnamento di sostegno. In Italia, difatti, l’insegnante di sostegno è un
docente di classe a tutti gli effetti, previsto dalla l. n. 517 del 1977, che viene assegnato, in piena
contitolarità con gli altri docenti, alla classe in cui è inserito il soggetto cui è destinata la sua
attività per attuare forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicap e realizzare
interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni. Tale figura deve perciò
conseguire una “specializzazione specifica”, nel senso di acquisire una professionalità ulteriore,
tenuto conto delle esigenze speciali degli studenti per i quali l’attuazione del diritto allo studio
richiede più intense modalità di assistenza. Questi docenti, dopo aver visto riconosciuto in Romania
il percorso di studi universitari svolto in Italia, conseguono l’abilitazione all’insegnamento sul
sostegno in Romania all‟esito di specifico corso di studi. Costoro hanno, dunque, acquisito tutte
quelle competenze e conoscenze didattiche e psico-pedagogiche richieste ai fini del
conseguimento di quella professionalità ulteriore che deve caratterizzare la figura
dell’insegnante di sostegno, in Romania come in Italia”.
*
Alla luce dei principi enunciati dal Consiglio di Stato in adunanza plenaria, si può
concludere sostenendo che il Ministero dell’Istruzione, investito di una domanda di riconoscimento
di un titolo di formazione professionale estero, ha l’obbligo di valutare il livello di competenza
professionale acquisito dall’interessato ed accertare se corrisponda o sia comparabile con la
qualificazione richiesta in Italia, disponendo, se del caso, misure compensative.
Di talché, i soggetti che si siano visti rigettare dal Ministero competente la domanda di
riconoscimento di un titolo di formazione professionale conseguito all’estero, sulla base dei principi
sopra esposto, possono ricorrere in via giudiziaria per mezzo di ricorso.
Nel restare a Vs. disposizione per qualsivoglia chiarimento e/o integrazione occorrer possa,
si porgono distinti saluti.

Avv. Stefano Luciano

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